Il Pugile delle Terme

Il cosiddetto Pugile delle terme o Pugile del Quirinale è uno splendido originale greco scoperto a Roma, nelle pendici del Quirinale, durante gli scavi del 1885. Proveniva, probabilmente, dalle Terme di Costantino e questo spiega entrambi i nomi con i quali è ancora oggi conosciuto. Studi recenti hanno ricondotto l’opera al contesto del tardo Ellenismo (in particolare al I sec. a.C.), ma l’autore è ancora ignoto.

L’atleta è raffigurato, con tutta evidenza, dopo un duro incontro che gli ha lasciato diverse ferite sulla testa, tutte rappresentate in modo estremamente realistico. L’occhio destro è tumefatto e i tagli sulla fronte e sulle guance sono sanguinanti.

L’autore ha scelto di raffigurare anche i tratti somatici alterati che sono tipici di chi pratica questo sport: le orecchie deformate dai colpi, il naso schiacciato, la bocca parzialmente sdentata.

Il pugile è seduto (la roccia, però, è un elemento di epoca moderna), ha le gambe leggermente divaricate e le braccia incrociate sulle ginocchia, i piedi appoggiati sui calcagni e la schiena piegata leggermente in avanti. Nonostante l’atteggiamento apparentemente rilassato, l’atleta volta di scatto la testa verso destra, turbato, come per osservare qualcosa o rispondere a qualcuno.

È un uomo adulto, lo dimostrano il petto villoso e la folta barba; anche il suo fisico possente presenta qualche cedimento dovuto all’età, come il leggero strato adiposo che gli appesantisce la vita: lo sportivo è quindi, verosimilmente, alla fine della sua carriera.

La statua, di altissima qualità, è stata realizzata con la tecnica della fusione a cera persa ed è composta da otto parti successivamente saldate. L’artista si è soffermato su ogni dettaglio. Vari intarsi di rame colorano le labbra e i capezzoli e servono a indicare le ferite, le cicatrici e le gocce di sangue sparse sul volto e sulle braccia. Un ematoma sotto l’occhio destro è stato ottenuto utilizzando una lega metallica più scura. Unghie, barba, peluria e capelli sono stati rifiniti a freddo.

Perfino le dita dei piedi sono lavorate in modo da poter modellare gli spazi interdigitali. Gli occhi, perduti, erano inseriti a parte. Notiamo che alcune dita del piede destro e parti delle mani si presentano leggermente più lucide: ciò è causato dal frequente sfregamento di antichi ammiratori (i Romani usavano toccare le opere famose, esposte nei luoghi pubblici, perché si pensava portassero fortuna). Proprio questo particolare testimonia quanto quest’opera, un tempo, sia stata apprezzata.

I guantoni ancora indossati sulle mani di questo atleta testimoniano che l’incontro si è appena concluso. Tali guantoni, adottati a partire dal IV secolo a.C., erano chiamati himantes oxeis (o caesti, in latino) ed erano propriamente costituiti da lunghi guanti di cuoio che arrivavano fin quasi al gomito lasciando scoperte le dita e parte dei palmi. La bordatura di pelliccia alle estremità serviva per asciugarsi il sudore della fronte. Tre fasce di cuoio per mano, tenute insieme da quattro borchie metalliche, riparavano le nocche degli atleti e nel contempo provocavano ferite e contusioni sul volto e sul corpo degli avversari.

Il Pugile delle terme porta a compimento quella sorta di rivoluzione avviata dal grande scultore greco Lisippo quasi due secoli prima e che riguardava la rappresentazione degli atleti in Grecia. E in effetti, non sono pochi i riferimenti stilistici alle opere di Lisippo o della sua scuola: ci sono particolari che nel Pugile delle terme sfiorano la citazione. Ma questo si spiega perfettamente considerando l’atteggiamento eclettico degli artisti ellenistici. Ricordiamo che per primo Lisippo aveva rappresentato Agias, un vero pugile, per l’esattezza un campione di pancrazio, sebbene ne avesse accentuato la snellezza del fisico. E, sempre per primo, il grande maestro aveva immaginato un atleta dopo la gara e mentre si pulisce.

L’anonimo autore del Pugile delle terme dimostra di aver fatto tesoro di queste conquiste. Se confrontiamo il nostro sportivo con gli atleti rappresentati da Mirone e Policleto nel V secolo a.C. ci rendiamo conto di essere di fronte a un’idea di arte completamente nuova. Intanto, i maestri dell’età classica mai avrebbero scolpito un pugile, che per sua natura aveva un fisico troppo massiccio e come tale sgraziato; meno che mai lo avrebbero rappresentato contuso e affaticato e magari anche sconfitto, come sembrerebbe in questo caso.

Gli atleti degli scultori classici sono uomini perfetti e come tali si avvicinano alla condizione del divino; il nostro pugile, al contrario, è un uomo vero. Il pugile battuto non è certo un eroe, ma la sua volontà nel sopportare i colpi ricevuti lo eleva ugualmente a modello, ad esempio di virtù. La stanchezza e le tumefazioni non evidenziano una sua condizione di debolezza ma, al contrario, la sua capacità di resistenza. Per questo, anche se sconfitto, egli merita la nostra ammirazione.

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